Spesso capita che il paziente maschio soprattutto dopo i 50 anni di età si trovi di fronte a valori di PSA piuttosto equivoci, che difficilmente si riescono a interpretare anche con il supporto del Medico di Medicina Generale.
I laboratori di solito danno come limite massimo il valore di 4 ng/ml, ragion per cui un individuo che abbia un valore di PSA supponiamo di 3,5 ng/ml crede di poter stare tranquillo, almeno in merito a quanto dice la legenda laboratoristica riportata a lato del valore. In realtà un simile valore in un individuo giovane (50 – 60 anni), che magari è portatore di una prostata di piccolo volume (tipo 20 g) potrebbe già essere un campanello di allarme da non sottovalutare.
E’ per questo motivo che si raccomanda sempre al paziente maschio di valutare comunque qualunque valore di PSA ottenuto assieme al proprio urologo di riferimento. Infatti l’urologo curante attraverso la visita medica, l’esplorazione digito-rettale e magari a volte con l’ausilio dell’ ecografia (trans-rettale o sovrapubica) può da subito rendersi conto se rimanere tranquilli e limitarsi a controllare periodicamente l’andamento del PSA oppure se procedere a ulteriori accertamenti.
Se l’urologo ritiene in base agli elementi clinici riscontrati che ci sia un alto rischio di neoplasia prostatica può subito procedere a richiedere una biopsia prostatica per escludere il dubbio. La biopsia prostatica è una procedura ambulatoriale che si esegue di solito mediante una sonda ecografica trans-rettale e avviene in maniera random, cioè si vanno a fare diversi prelievi sulla ghiandola prostatica divisa in quadranti in modo casuale nei diversi quadranti, ma in maniera tale da ricoprire più o meno tutta la ghiandola.
Nei casi più dubbi in cui il sospetto clinico di tumore non è abbastanza forte ma nemmeno trascurabile, vale la pena di ricorrere (prima di eseguire da subito una biopsia prostatica magari superflua) a una indagine di secondo livello molto precisa e accurata: la risonanza magnetica nucleare con mezzo di contrasto e studio multiparametrico della prostata. E’ una procedura radiologica di alto livello, sensibile e specifica, che, se in mano a radiologi esperti, può dare informazioni molto utili sulle condizioni di salute della ghiandola prostatica. C’ è un punteggio finale cosiddetto PIRADS (prostate imaging reporting and data system) che va da 1 a 5 assegnato dal medico radiologo dove uno rappresenta rischio molto basso e cinque rischio molto alto di trovare tumore prostatico.
La risonanza fornisce altresì informazioni precise circa l’anatomia strutturale e le dimensioni della ghiandola prostatica. Inoltre delinea l’eventuale estensione di supposti tumori all’interno della ghiandola stessa oppure alle strutture anatomiche periprostatiche.
È opportuno sottolineare che la risonanza magnetica non viene eseguita dall’urologo ma dal medico radiologo.
Sarà quindi compito dell’urologo curante indirizzare il paziente verso il centro più efficiente per eseguire l’indagine, dove si trovano i migliori apparecchi di risonanza e degli esperti radiologi per interpretare le immagini.
Una volta ottenuto il referto della risonanza magnetica nucleare sarà premura dell’urologo decidere in base al punteggio PIRADS e ai dati clinici in possesso se indirizzare o meno il paziente a biopsia prostatica.
In questo caso però la biopsia prostatica sarà eseguita con una tecnica piuttosto innovativa e particolare: la cosiddetta biopsia prostatica di fusione o fusion biopsy.
Cosa significa esattamente biopsia di fusione? Attraverso un apposito software le immagini prostatiche ottenute in risonanza magnetica vengono “fuse”, cioè integrate alle immagini ecografiche ricavate in tempo reale dalla sonda ecografica transrettale utilizzata per la biopsia prostatica.
In questo modo con una precisione a dir poco millimetrica si va a prelevare con l’ago da biopsia, montato sulla sonda ecografica, la porzione di prostata risultata sospetta per tumore alla risonanza. Si possono così fare prelievi mirati estremamente accurati di aree dubbie per carcinoma prostatico ricavate dalla risonanza magnetica.
Si completa poi di solito l’esame con una serie di altri 8 – 12 prelievi bioptici random sul resto della ghiandola in modo tale da aumentare la probabilità di rilevare eventuali altri focolai nascosti di tumore.
Con l’utilizzo di questa metodica “ibrida” si può pertanto ridurre il numero di biopsie prostatiche superflue (eseguite in era pre-risonanza magnetica multiparametrica) e al contempo aumentare la possibilità di rintracciare con estrema precisione tumori che magari un tempo venivano tralasciati o non diagnosticati con le solite tecniche bioptiche esclusivamente ecoguidate.
La diffusione sempre maggiore in ambito urologico della biopsia prostatica “fusion” sta radicalmente cambiando in meglio l’approccio clinico – diagnostico (e di conseguenza terapeutico) del tumore prostatico.